IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 1282/1998,
 proposto  da  Marafioti  Antonio,  Marafioti  Giuseppe  e   Marafioti
 Rodolfo,  rappresentati  e  difesi  dall'avv.  Dante  Pantano e Marco
 Parisi domiciliati in mancanza di elezione  di  domicilio  in  Reggio
 Calabria, presso la segreteria di questo t.a.r., viale Amendola, 8/b;
   Contro  il  comune di S. Procopio, rappresentato e difeso dall'avv.
 Gaetano Baietta, elettivamente domiciliato in  Reggio  Calabria,  via
 Salita Zerbi n. 7/5 (studio avv. F. Calarco), per l'annullamento:
     del provvedimento del comune di San Procopio n. 564 del 14 aprile
 1998 di occupazione d'urgenza di beni immobili dei ricorrenti;
     della  deliberazione  G.M.  10  dicembre 1994, di approvazione di
 progetto di opere pubbliche;
     dell'avviso di redazione del verbale di immissione in possesso  e
 stato  di  consistenza  n.  565 del 14 aprile 1998, e del conseguente
 verbale di immissione del 4 giugno 1998;
   Visto il  ricorso  straordinario  al  Presidente  della  Repubblica
 notificato il 7 agosto 1998;
   Vista  la  domanda  del  comune di San Procopio di trasposizione in
 sede giurisdizionale, notificata il 29 settembre 1998,  del  predetto
 rimedio amministrativo;
   Vista   la   memoria   di   costituzione  avanti  questo  tribunale
 amministrativo notificata dai ricorrenti il 12 novembre 1998;
   Vista la costituzione in giudizio del comune di San Procopio;
   Viste le memorie difensive presentate dalle parti a sostegno  delle
 rispettive difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito  alla  pubblica  udienza del 12 maggio 1999 il relatore pres.
 Aldo Ravalli ed uditi, per le parti, gli avv. M. Parisi e l'avv.   G.
 Baietta;
   Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   I  sigg. Antonio, Giuseppe e Rodolfo Marafioti, con atto notificato
 il 7 agosto 1998 hanno proposto ricorso straordinario  al  Presidente
 della  Repubblica  contro  i provvedimenti del comune di San Procopio
 (RC) cosi individuati: a) provvedimento n. 564 del 14 aprile 1998  di
 occupazione  d'urgenza  di  terreno  occorrente  per il completamento
 della  rete  fognante  urbana  e  l'allacciamento   all'impianto   di
 depurazione   (circa   300   mq   in  comproprieta'  con  altri,  non
 ricorrenti); b) deliberazione 10 dicembre 1994  di  approvazione  del
 progetto  per l'opera precisata (previsione di spesa L. 150.000.000);
 c) avviso di redazione del verbale di immissione in possesso e  stato
 di  consistenza  n.  565  del 14 aprile 1998 e conseguente verbale di
 immissione del 4 giugno 1998.
   Con atto di "opposizione a ricorso straordinario", notificato il 29
 settembre 1998, il comune di San Procopio ha chiesto la trasposizione
 in sede giurisdizionale del ricorso amministrativo.
   Gli interessati hanno quindi notificato il 12 novembre 1998 atto di
 costituzione avanti questo t.a.r. rinnovando le domande formulate nel
 rimedio straordinario.
   Le parti hanno depositato memorie difensive.
   In particolare, il comune ha rappresentato  che  identico  ricorso,
 notificato  il  16 giugno 1998, era gia' stato proposto avanti questo
 stesso t.a.r., con sentenza n. 768 dell'8 luglio 1998 data  ai  sensi
 dell'art.  19,  d.-l.  25  marzo  1997  n. 67, convertito in legge 23
 maggio 1997 n. 135, aveva dichiarato tardivo il ricorso medesimo.
   Ha  eccepito,  quindi,  il  comune  la inammissibilita' del ricorso
 straordinario per violazione della regola dell'alternativita', quanto
 a Marafiori Antonio e Giuseppe, e la infondatezza quanto a  Marafioti
 Rodolfo,   che  non  era  stato  parte  nel  ricorso  giurisdizionale
 conclusosi con la citata sentenza n. 768/1998 di questo tribunale.
   Ha eccepito, inoltre, il comune il difetto  dello  jus  postulandi,
 atteso  che  i legali avrebbero ricevuto mandato solo per la fase del
 ricorso  straordinario,  ma  non  anche  per   la   successiva   fase
 giurisdizionale.
   I  ricorrenti  hanno  sostenuto  la  infondatezza  e irrilevanza di
 entrambe le eccezioni.
                             D i r i t t o
   I. -  I signori Antonio e Giuseppe Marafioti avevano gia'  proposto
 ricorso  giurisdizionale  avanti questo notificato il 16 giugno 1998,
 contro  i  medesimi  provvedimenti  oggetto  dell'attuale   giudizio,
 specificati  in epigrafe. Questo tribunale con sentenza n. 768 dell'8
 luglio 1998 ha dichiarato tale ricorso irricevibile per tardivita' in
 relazione ai termini (dimezzati) di cui all'art. 19, d.-l.  25  marzo
 1997  n.    67,  convertito  in  legge  23  maggio 1997 n. 135, dando
 definizione  immediata  al  giudizio   con   motivazione   in   forma
 abbreviata.
   La  sentenza  n.  768/1998  non risulta essere stata appellata ma i
 sigg. Antonio e Giuseppe Marafioti, insieme con un terzo  interessato
 (Marafioti   Rodolfo)   hanno   proposto   ricorso  straordinario  al
 Presidente della Repubblica, notificato il 7 agosto 1998, contro  gli
 stessi provvedimenti e con uguali censure.
   La presenza di un ricorrente che tale non e' stato nella precedente
 fase  giurisdizionale  gia'  conclusa  con  sentenza, non consente al
 Collegio di pronunciarsi sulla eccepita inammissibilita' in toto  del
 ricorso straordinario, come riassunto avanti a questo t.a.r.
   L'attuale ricorso puo', quindi, quantomeno proseguire nei confronti
 di  Marafioti  Rodolfo,  riservando  il  Collegio  al  definitivo  la
 pronuncia circa la  eccepita  inammissibilita'  ex  art.  8,  secondo
 comma,  d.P.R.    24  novembre  1971,  n.  1199, quanto ai ricorrenti
 Marafioti Antonio e Giuseppe.
   Ne' il Collegio puo'  concludere  anche  il  ricorso  di  Marafiori
 Rodolfo  con  pronuncia  di tardivita',   ex art. 19, d.-l. n. 67 del
 1997  cit.    in  quanto  per  l'attuale   ricorso   giurisdizionale,
 proveniente  dalla  trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso
 straordinario, occorre tener conto che il termine per la proposizione
 del rimedio straordinario e' di 120 ex giorni, art. 9, d.P.R. n. 1199
 del 1971.  Per il predetto ricorrente inoltre, non e' eccepita alcuna
 tardivita', ne' e' rinvedibile dagli atti una  piena  conoscenza  dei
 provvedimenti   impugnati  tale  da  poter  portare  a  pronuncia  di
 irricevibilita' con riferimento al  termine  di  120  giorni  di  cui
 all'art. 9, d.P.R. n.  1199 del 1971.
   II.  -  Il  ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e'
 stato proposto con l'ausilio di legali, con mandato  sottoscritto  in
 calce, gli stessi che poi l'hanno riassunto in sede giurisdizionale.
   Ha  eccepito  il comune che il mandato per il ricorso straordinario
 non varrebbe anche per la fase  giurisdizionale,  per  cui  i  legali
 sarebbero carenti di jus postulandi nell'attuale fase.
   Il  Collegio  non  concorda sull'eccezione per un duplice ordine di
 considerazioni.
   E' stato ritenuto (Cons. St., sez. II, 5 aprile 1975 n.  1096/1974)
 che l'art. 9, d.P.R. n. 1199/1971 assimila per i vari aspetti formali
 il  rimedio  straordinario  al ricorso giurisdizionale, per cui vanno
 ritenute comuni le regole del mandato a difendere.
   L'alternativita' fra i due mezzi, prevista dall'art. 8, d.P.R.   n.
 1199/1971,   e   le   stesse   modalita'  di  trasposizione  in  sede
 giurisdizionale ex art. 10, d.P.R. cit., fanno  ritenere  che  devono
 essere  acquisite  nella  fase  giurisdizionale  tutte le formalita',
 necessarie  per  tale  fase,  gia'  presenti  in  quella  giustiziale
 amministrativa.
   Il   Collegio,  pertanto,  ritiene  che  il  mandato  eventualmente
 conferito a legali per la proposizione del ricorso straordinario  sia
 valido,  nel  caso  di opposizione   ex art. 10, d.P.R. n. 1199/1971,
 anche per la costituzioine in giudizio in sede giurisdizionale.
   III. - Il ricorso ha ingresso in questa  sede  giurisdizionale  per
 effetto - come sopra e' stato evidenziato - degli artt. 8, 9 e 10 del
 d.P.R.  24  novembre 1971 n. 1199, cioe' delle norme che disciplinano
 il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, e che creano
 le connessioni con il ricorso giurisdizionale.
   Questo giudice dubita della  legittimita'  costituzionale  di  tali
 norme,  per  cui  ritiene  di dover rimetterne d'ufficio l'esame alla
 Corte costituzionale sotto i profili che seguono.
   A  tale  conclusione  perviene  il  Collegio   pur   dopo   attenta
 valutazione  della  manifesta  infondatezza,  peraltro su profili non
 coincidenti di costituzionalita', espressa  dal  Consiglio  di  Stato
 nella  decisione,  IV  sez., 28 aprile 1986 n. 299, nel trascinamento
 interna corporis di quanto dallo stesso ritenuto nel parere  dato  in
 adunanza  plenaria  il  31  maggio  1971  n.  690,  sullo  schema  di
 provvedimento predisposto proprio dal medesimo Consiglio di  Stato  e
 divenuto appunto il d.P.R.  24 novembre 1971 n. 1199.
   La  rilevanza della questione di costituzionalita' delle richiamate
 norme del d.P.R. n. 1199 del 1971 del presente giudizio si ritiene di
 tutta  evidenza,  in  quanto  -  come  gia'  accennato  -   solo   la
 legittimita' costituzionale di tali norme costituisce presupposto per
 il  prosieguo  del ricorso amministrativo straordinario avanti questo
 giudice.
   Le fonti normative del rimedio straordinario (prima "al Re", poi al
 "al Re Imperatore", ora "al Presidente della Repubblica") sono  tutte
 anteriori  (salvo  i  d.P.R.  n. 1199 del 1971) all'entrata in vigore
 della  Costituzione  della  Repubblica  italiana.   Tali   fonti   si
 rinvengono   negli   ordinamenti   preunitari,   ricevono   superiore
 giustificazione  dal  principio  proprio  delle  monarchie   assolute
 secondo  cui  "al Re appartiene il potere esecutivo" (art. 5, Statuto
 Albertino del 4 marzo 1848) e si tramandano attraverso  la  legge  30
 ottobre  1859 n.  3707 sul Consiglio di Stato, la legge 20 marzo 1865
 n. 2248, all.  D, il t.u. 26 giugno 1924 n. 1054, il r.d.  21  aprile
 1942 n. 444 (artt. 60 e 61 abrogati nel 1971).
   Cio'  puo' rendere ragione della definizione di "rimedio singolare,
 anomalo" ripetutamente data dalla Corte costituzionale (sentt. n.  31
 del 1975, n. 148 del 1982 e n. 298 del  1986),  nonche'  di  "residuo
 d'altri  tempi"  e  di  "relitto  storico"  come la dottrina da tempo
 denomina tale rimedio.
   Il  primo  intervento  normativo  dopo  l'entrata  in  vigore della
 Costituzione e' rappresentato dal d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199.
   Tale decreto legislativo trova la sua fonte nell'art. 4 della legge
 di delega 18 marzo 1968 n. 249, sostituito dall'art. 6 della legge 28
 ottobre 1970 n. 775, e si basa -  come  detto  -  su  uno  schema  di
 provvedimento  predisposto  dallo stesso Consiglio di Stato "in esito
 ad apposito incarico conferitogli ai  sensi  dell'art.  14  del  t.u.
 approvato  con  regio  decreto  26  giugno 1924 n. 1054" (cosi' nelle
 giustificazioni al d.P.R. de quo); cioe' su incarico del Governo,  il
 Consiglio  di  Stato  ha formulato il progetto di legge, sul quale ha
 poi dato parere favorevole in Adunanza plenaria.
   Osserva  il  Collegio  che  la  legge  di  delega  del  1968,  come
 modificata  nel 1970 riguarda "Delega al Governo per il riordinamento
 dell'Amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni
 e per il riassetto della carriere e delle retribuzioni dei dipendenti
 statali".
   L'art.  76  Cost.,  prescrive  che  "L'esercizio   della   funzione
 legislativa   non   puo'  essere  delegato  al  Governo  se  non  con
 determinazione di principi e criteri direttivi  e  soltanto  ...  per
 oggetti definiti".
   Per  quanto  riguarda  il  rimedio  del  ricorso  straordinario  al
 Presidente dalla Repubblica, non si rinviene nella  legge  di  delega
 alcuna  determinazione  di "principi e criteri direttivi", ne' appare
 rispettato il principio dell'"oggetto definito".
   Il Collegio non ritiene che la normativa delegata  de  qua  con  la
 quale  si  attribuisce  al Capo dello Stato una competenza seppure di
 firma o di esternazione, e con la quale  si  limitano  i  poteri  del
 Governo  (atteso  che il Ministro "ove intenda proporre una decisione
 difforme al parere del Consiglio di Stato, deve  sottoporre  l'affare
 alla  deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri", cosi' l'art. 14,
 d.P.R. n. 1199/1971), non bisognasse di prefigurazione da  parte  del
 Parlamento,  mediante  -  si  ripete   - determinazione di principi e
 criteri direttivi e di definizione dell'oggetto su  cui  delegare  la
 funzione legislativa.
   Cio'   anche   sotto   l'aspetto   della  valutazione,  che  appare
 appartenere solo alle Camere, circa  l'ampiezza,  gli  effetti  ed  i
 limiti  dell'intervento  del  Consiglio di Stato, anche in termini di
 proporzionalita' e, quindi, di misura dei suoi  poteri,  considerato,
 seppure  ex  post, che esso in sostanza ha scritto norme di legge sui
 propri poteri, sulle stesse ha dato parere, e, da ultimo, aliusque et
 idem,  ha  affermato  sempre  rispetto  alle  stesse   la   manifesta
 infondatezza di eccezioni di costituzionalita'.
   Il Collegio ritiene, pertanto, che possa avere fondamento il dubbio
 di  costituzionalita'  degli  artt. 8, 9 e 10, in connessione con gli
 artt. 11, 12, 13 e 14, d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 per violazione
 degli artt. 76 e 77 primo comma della Costituzione.
   Il    Collegio    ritiene,    altresi',    di    prospettare     la
 incostituzionalita'  delle  predette  norme  del  d.P.R.  n. 1199 per
 violazione dell'art.  87 della Costituzione, sotto i profili: a)  che
 con  decreto  legislativo,  ed in assenza di valutazioni da parte del
 Parlamento, anche quanto alla adeguatezza  del  coinvolgimento  della
 massima  carica  dello  Stato in relazione al livello delle questioni
 controverse,  siano   attribuite   funzioni   al   Presidente   della
 Repubblica;  b)  che  venga  con legge attribuita al Presidente della
 Repubblica  una  competenza  "non nominata" nella Costituzione, cioe'
 ulteriore  rispetto  a  quelle  individuate  nell'art.     87   della
 Costituzione, ne' ad esse riannodabile.
   IV. - Ove si potessero ritenere presenti nella legge delega n.  249
 del  1968,  nel  testo modificato nel 1970, i presupposti ex art.  76
 della  Costituzione  per  l'esercizio  della   funzione   legislativa
 delegata  in  materia  di  ricorso straordinario, il Collegio osserva
 quanto segue.
   L'art. 4, legge n. 249 del 1968, come sostituito dall'art. 6, legge
 n. 775 del 1970, nel dare delega  al  Governo  della  Repubblica  per
 disciplinare  i singoli procedimenti amministrativi nei vari settori,
 ha dettato i seguenti principi e criteri: "si dovra'  sempre  tendere
 alla  semplificazione ed allo snellimento delle procedure, in modo da
 rendere  quanto  piu'  possibile  sollecita  ed  economica   l'azione
 amministrativa,  e  a  tal  fine  dovra'  realizzarsi,  tra  l'altro,
 l'eliminazione delle duplicazioni di  competenza,  dei  concerti  non
 necessari e dei pareri ..., che non siano essenziali per una adeguata
 valutazione  del pubblico interesse o per la consistente tutela degli
 interessi dei cittadini".
   Il Collegio ritiene che il d.P.R.  n.  1199  del  1971,  quanto  al
 rimedio del ricorso straordinario, non abbia seguito ed anzi si ponga
 in  contrasto  con  i  trascritti  principi  e criteri della legge di
 delega.
   IV.1. - Circa il criterio dello snellimento e della semplificazione
 della  procedura  esso  appare  fortemente  violato  per  i  seguenti
 argomenti:
     A)  a  differenza  ed in evidente contrasto con gli altri ricorsi
 amministrativi si mantiene un termine per la proposizione del rimedio
 straordinario del tutto irragionevolmente esuberante (120  giorni  ex
 art.  9,  d.P.R.  cit),  e  termini  sovrabbondanti  interessano  una
 complessa istruttoria (v. ad es., art. 11), mentre la conclusione del
 procedimento, mancando senza ragioni l'equivalente del silenzio
  ex art. 6 stesso d.P.R., e' a termine finale del tutto  incerto,  in
 contrasto  col  principio  di  certezza  dei tempi di conclusione dei
 ricorsi amministrativi contenuto nello stesso decreto legislativo,  e
 dei procedimenti in generale.
   Cio'  rende  ragione  di  quanto negli anni '60 la dottrina notava:
 "il ricorso straordinario ... e' soprattutto uno strumento che  serve
 poco  all'amministrato  e  reca  grossi  fastidi alle amministrazioni
 l'Amministrazione e' certamente un grosso svantaggio il fatto che per
 180 (ora, 120) giorni un provvedimento ... rimanga sotto l'incertezza
 di impugnativa". Tanto piu' cio' appare vero, ove si consideri - come
 nella fattispecie - che col ricorso  straordinario  da  un  parte  si
 recupera   la  tardivita'  dei  ricorsi  giurisdizionali,  dall'altra
 l'ordinamento entra  in  contraddizione  atteso  che,  proprio  nella
 materia de qua, esso ha voluto con norme sul dimezzamento dei termini
 di   impugnazione  (30  giorni)  e  sulla  sentenza  con  motivazione
 abbreviata (art. 19, d.-l. n. 67 del 1997 cit.) la  definitivita'  in
 tempi brevi delle situazioni giuridiche.
   A  tali  tempi  va  aggiunto  quanto proviene dalle osservazioni di
 dottrina, per cosi' dire, "interna" di recente conio (aprile 1999)  e
 cioe'  a)  che  non  sarebbe applicabile la norma (art. 17, comma 27,
 legge 15 maggio 1997 n. 127) che consente di provvedere,  scaduto  un
 termine  congruo,  anche  senza  attendere il parere del Consiglio di
 Stato  ("A  volte  saranno  necessarie  al  Consiglio  di  Stato piu'
 interlocutorie"); b) che  sia  da  ammettere  la  previsione  che  il
 Ministro possa chiedere un nuovo avviso in revisione, quando il primo
 non  convinca;  c)  che  "la  non  infrequente  inottemperanza  delle
 decisioni straordinarie",  costringe  alla  fine  di  "rivolgersi  al
 giudice  ammmistrativo con rito ordinario ... deducendo il ..., vizio
 di  violazione  della  pronuncia  ...  ed   ottenere   una   sentenza
 cognitoria".
     B)    ulteriore   esempio   di   lontananza   dal   concetto   di
 semplificazione e snellimento del procedimento, appare la  previsione
 secondo  la  quale  il  Ministro  che  intenda proporre una decisione
 difforme dal parere del Consiglio di Stato debba "sottoporre l'affare
 alla deliberazione del Consiglio dei Ministri" (art. 14, d.P.R. cit),
 qualunque sia l'affare trattato ed il suo valore.
   IV.2.  -  Ugualmente  fortemente  violato  appare  il  criterio  di
 economicita' secondo il quale deve svolgersi l'azione amministrativa,
 oltre che per effetto delle esuberanze di procedura gia' evidenziate,
 anche per la considerazione che il rimedio straordinario attiva: 1) i
 vertici  dei  Ministeri  per  l'istruttoria;  2) talvolta il Ministro
 stesso; 3) un Collegio di 5 magistrati del Consiglio di Stato per  la
 formulazione  del parere; 4) il Ministro per la controfirma del d.P.R
 conclusivo del ricorso straordinario; 5) il Capo dello Stato  per  la
 firma del decreto.
   Non  e'  affatto  azzardato ritenere che per il rimedio del ricorso
 straordinario  l'ordinamento  sopporta  costi  del  tutto  eccessivi,
 senz'altro sproporzionati ed ingiustificati in relazione all'effetto.
   Ne' appare vero che trattasi di rimedio economico per i ricorrenti:
 questi   affrontano   spese   di  notificazione  maggiori,  dovendosi
 notificare ad organi centrali dello Stato, mentre l'assistenza legale
 e' pur sempre presente, come dimostra anche  l'attuale  giudizio.  In
 proposito,   la  dottrina  gia'  nel  1972  ha  addirittura  definito
 "demagogica" la affermazione che trattasi di strumento  di  giustizia
 per i meno abbienti, adombrando ben altri fini.
   Puo'  aggiungersi,  per  una  riflessione  sul rapporto fra costi e
 benefici, che il ricorso straordinario e' alternativo solo  a  quello
 giurisdizionale  amministrativo e non a quello del giudice ordinario.
 Questi, poi, ha acquisito ormai (art. 33, d.lgs. n. 80 del  1998)  le
 controversie  gia'  di  pubblico  impiego  per cui ben maggiore e' la
 eventualita' che un rimedio costoso per l'ordinamento e non economico
 per il cittadino, sia duplicato e posto  nel  nulla  dall'attivazione
 del giudizio avanti il giudice ordinario.
   Il  Collegio, pertanto, ritiene, da ultimo, di dover prospettare la
 incostituzionalita' degli artt. 8, 9 e  10  in  connessione  con  gli
 artt.  11, 12, 13 e 14, d.P.R. 24 giugno 1971 n. 1199, per violazione
 dell'art.  76  della  Costituzione,  sotto  l'ulteriore  profilo  del
 contrasto con i principi e criteri della legge di delega.
   V.  - In considerazione, quindi, della non manifesta infondatezza e
 della rilevanza, come dinanzi precisate, della ripetuta questione  di
 costituzionalita' degli artt. 8, 9 e 10, in connessione con gli artt.
 11,  12,  13 e 14, d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, per contrasto con
 gli artt. 76, sotto un duplice profilo, 77, primo comma  e  87  della
 Costituzione,  il giudizio va sospeso e gli atti vanno trasmessi alla
 Corte costituzionale.